Paola Antonelli, Senior Curator della sezione Architettura e Design e Direttore della Ricerca e Sviluppo del MoMA di New York, era ospite di Meet the Media Guru ieri a Milano per un incontro a Palazzo Reale dedicato al design e ai musei del futuro.

Nella settimana del Salone del Mobile, la Antonelli ha raccontato, attraverso una lunga e ricca carrellata di esempi, come la disciplina del design abbia il compito di immaginare futuri possibili e non solo di dare forma agli oggetti, come invece comunemente si pensa. Ad esempio, fanno parte della collezione del MoMA i “Foragers“, sistemi gastrointestinali esterni per gli umani pensati dai designer londinesi Dunne & Raby per pre-digerire quei cibi che oggi non consumiamo, ma a cui dovremo abituarci in uno scenario futuro di mondo sovrappopolato e affamato.

Il lavoro del designer oggi deve essere critico: non risolvere problemi, ma definirli aprendosi al dibattito, come ha fatto per esempio la serie di incontri pubblici al MoMA di New York pensati dalla Antonelli per stimolare la discussione sui controversi temi del progetto di ricerca online “Design and Violence“. La potenza del design è usata come leva per discutere di violenza ad esempio partendo dalla pistola stampata in 3D “The Liberator” e dalla domanda “Non possiamo limitare l’open source design, anche quando non ne appoggiamo le conseguenze. Sei a favore, contrario, o indeciso?“.

Paola Antonelli ha poi spiegato come il digitale abbia cambiato il design, e come questo cambierà i musei: infatti, la cultura digitale negli ultimi anni ha profondamento influenzato il design di oggetti e spazi, che non sono più solo tangibili e i musei di conseguenza dovranno pensare nuove strategie per ospitarli, slegandosi dalla materialità degli artefatti. Con le parole della Antonelli:

Non è necessario possedere un oggetto x averlo nel nostro patrimonio, ma basta spiegarlo e capirlo.

Il MoMA, per esempio, ha acquisito nella sua collezione il simbolo tipografico @—le cui origini si possono far risalire ai codici usati dai monaci amanuensi nel medioevo—senza poterlo possedere perchè parte del public domain. Questa acquisizione è emblematica di un cambiamento in atto nei musei, che, così come sta avvenendo nella società, stanno sempre più ripensando il loro ruolo che non può più solo essere quello di possedere, conservare e comunicare artefatti (pur continuando a considerare fondamentale il possesso delle opere per alcune tipologie di collezioni), ma dovranno diventare luoghi di ricerca, sviluppo e condivisione al servizio della società.

paola antonelli_design vs contemporary design

Esattamente come il design ha visto lo spostamento da principi guida quali: problem solving, provides answers, design for production e in the service of industry a principi quali problem finding, asks questions, design for debate e in the service of society, anche in ambito culturale sta avvenendo un cambio di atteggiamento simile, coinvolgendo anche le pratiche e la gestione museale.

Gail Anderson nel libro “Reinventing the Museum: The Evolving Conversation on the Paradigm Shift” del 2012, parla dell’emergere di una nuova tipologia di museo—il museo “reinventato”—in cui il pubblico è coinvolto nello svuluppo e valutazione dei programmi culturali. Anderson spiega questo cambio di paradigma contrapponendo le caratteristiche tipiche del museo “tradizionale”, quali per esempio exclusive, ethnocentric, stability, debate/discussion e presenting alle caratteristiche del museo “reinventato”, quali inclusive, multicultural, sustainability, dialogue e facilitating.

Anche il concetto di curatela si è espanso poiché il pubblico non vuole più solo “consumare” arte, ma essere parte dell’esperienza artistica—per esempio partecipando a una performance o giocando con un videogioco—esattamente come è successo in altri campi. Per esempio, secondo Paola Antonelli, il cinema è in crisi non per colpa dei servizi come Netflix, ma perché le persone preferiscono “fare” cinema, avendo a disposizione degli strumenti relativamente semplici ed economici per farlo. Il ruolo dei curatori diventa quindi quello di spiegare al pubblico come viene costruito il design, come si evolve l’arte, all’interno di un museo che diventa un luogo di scambio e partecipazione.