L’emergere di un concetto partecipativo di pubblico apre un importante dibattito sulle questioni relative a mediazione, accesso e controllo dei contenuti generati dagli utenti, sia per quanto concerne i progetti sviluppati negli spazi fisici dei musei, sia soprattutto per i progetti che prevedono l’utilizzo di beni digitali, nativi o digitalizzati, che per loro natura si prestano a processi interpretativi e di riutilizzo, grazie a una tipologia di accesso che spesso è libera.

L’enorme quantità di artefatti culturali digitalizzati disponibili sui siti web delle principali istituzioni culturali in tutto il mondo sta, infatti, modificando le logiche di accesso, esplorazione, e selezione del patrimonio, portando talvolta in primo piano anche beni meno noti, secondo la logica della “coda lunga” di Anderson per cui le nostre scelte di consumo–e quindi anche di consumo culturale–sono mediate dalla forza delle opinioni di altri utenti, e quindi sempre più definite dai nostri interessi, e sempre meno da scelte di tipo istituzionale.

Indicativo di questa tendenza è, per esempio il social network dedicato all’arte ArtStack, che permette di esplorare il patrimonio artistico con lo stesso meccanismo di Pinterest, senza alcun tipo di mediazione di tipo istituzionale.

Altre due piattaforme web molto conosciute che, seppure con modalità diverse, abilitano un tipo di fruizione partecipativa del patrimonio culturale online sono Flickr: The Commons e il Google Cultural Institute. Entrambe forniscono infatti agli utenti l’opportunità di interagire con il patrimonio individualmente e di essere coinvolti in discussioni con altri utenti, aprendo a enormi potenzialità per un apprendimento multidisciplinare e multiistituzionale a distanza, grazie alla possibilità di creare collezioni personali online in modo legale, a partire da una selezione di opere d’arte di diversi musei.

Flickr: The Commons, lanciato nel 2008, coinvolge attualmente 68 istituti partner tra musei, biblioteche e archivi, e comprende più di 250.000 fotografie, che hanno generato più di due milioni di tag e oltre 650.000 commenti3. L’obiettivo principale del progetto, al di là di mostrare i tesori nascosti negli archivi fotografici pubblici di tutto il mondo, è di arricchire ulteriormente queste raccolte sfruttando la potenza del crowdsourcing per aumentare la quantità di meta informazioni presenti nei cataloghi attraverso il social tagging, in modo da renderne più facile la consultazione.

Il Google Cultural Institute, una collaborazione tra Google e centinaia di istituzioni culturali di tutto il mondo, comprende tre diversi progetti:
Art Project, attraverso il quale il pubblico può accedere alle immagini ad alta risoluzione delle opere d’arte ospitate in diversi musei internazionali;
World Wonders, che rende visitabili online alcuni siti del patrimonio mondiale UNESCO;
Momenti Storici, che presenta mostre online sui momenti storici più significativi.

Gli autori dell’articolo “Digital cultural collections in an age of reuse and remixes“, definiscono cultural remix, questa possibilità per gli utenti della rete di accedere ad alcuni beni culturali digitali senza vincoli di ridistribuzione, in un contesto sociale digitale che tende a de-costruire l’idea stessa di ciò che è una collezione museale virtuale. Infatti, anche quando i contenuti sono selezionati istituzionalmente, la loro ricontestualizzazione ad opera degli utenti abilita un processo in cui è il pubblico stesso ad attribuire nuovi contesti di fruizione e a stabilire quindi nuovi valori per i contenuti culturali, suggerendo in alcuni casi un ripensamento dal punto di vista concettuale e tematico anche delle collezioni online dei siti web istituzionali di musei, gallerie e archivi, in modo che possano includere efficacemente i contributi dei nuovi utenti-partecipanti emergenti.